Sharing Economy: l’economia della condivisione e la mancanza di una definizione condivisa
Collaborative economy, platform economy, gig economy, collaborative consumption, sharing economy… definirla una babele sarebbe riduttivo.
Di fatto ogni termine ha una sfumatura (ed una conseguenza) diversa, ma finiscono inevitabilmente tutti sotto il termine ombrello “sharing economy”. Perciò nel linguaggio comune con “sharing economy” si intende sia la condivisione di qualcosa di tangibile come l’auto sia di intangibile come il tempo (esiste la banca del tempo), od un servizio, sia virtuale. Un esempio lampante per quest’ultimo sono gli account condivisi su Netflix.
La sharing economy, secondo letteratura in merito, può avvenire totalmente offline od online ma anche in maniera mista. Occorre precisare che di fatto il world wide web è il sine qua non per la maggior parte dei fenomeni appartenenti alla famiglia “sharing” oggi esiste. I “fenomeni della famiglia sharing” include tutti quei tentativi o esperimenti dell’ultimo decennio nei quali si è semplicemente cercato di mettere in comune un bene o un servizio gratuitamente o con rimborso spese o anche con forme alternative di pagamento.
Un po’ di storia
Andiamo a ritroso. Sharing economy, SE, per la prima volta viene usato da Benkler nello Yale Law Journal nel 2004, riferendosi al comportamento di condividere per spirito di affiliazione o per semplice gusto di farlo; il punto di vista è quello dell’antropologia.
Si indica questa pratica come “sharing nicely” in contrapposizione alla “demand sharing”, ovvero la condivisione per legge o per volontà divina in uso presso alcune popolazioni studiate dall’antropologo Woodburn, che coniò proprio il termine demand sharing.
Nel 2010, Rachel Botsmann portò “l’affare sharing” all’attenzione del grande pubblico col merito di aver reso la questione sulla condivisione tutt’altro che esclusivo appannaggio dell’antropologia, definendola un vero e proprio campo di studi e sperimentazione a sè stante. Il futuro sarà sempre più « sharing ». Secondo la Botsmann, economia, società, giurisprudenza e, soprattutto, tecnologia, sono interessate e cambiate dallo sharing, soprattutto il settore ICT, il quale non solo funge da mediatore, ma rende effettivamente possibili modus operandi prima impensabili. In fondo, sempre di più si vedrà che l’ICT è di per sè un enorme servizio di condivisione: si condividono dati ininterrottamente, informazioni, messaggi, e la maggior parte del tempo senza esserne consapevoli. Botsmann parla soprattutto di collaborative consumption, consumo collaborativo, evidenziando degli aspetti comuni tra i diversi stili di collaborazione piattaforma-mediati.
- In primis, qualunque forma di condivisione implica il non-possesso di un bene od un servizio. Nel caso si tratti del possessore, il quale sceglie di mettere qualcosa a disposizione, allora si parlerà di massimizzazione di una risorsa, che si tratti di tempo, spazio, abilità, utilities, capitale od oggetti (Botsmann, Rogers, 2010). Le motivazioni che spingono a non possedere e/o a massimizzare possono essere tra le più disparate, dall’ideologia al profitto.
- La definizione che Rachel Botsman presenta al suo Ted talk (2014) è la seguente: “sistema economico che sfrutta il valore di qualcosa, come un asset inutilizzato, attraverso una piattaforma che incrocia bisogni ed averi in maniera da creare un più alto valore e maggiore accessibilità”. Così dicendo si distingue la sharing economy dall’uberizzazione, fenomeno derivante dall’on-demand app “Uber”, la quale non fa altro che efficientare e customizzare il processo di domanda e offerta, ergo, la capitalizzazione di ogni minuto e dispositivo libero: l’opposto della condivisione.
Elementi comuni tra le varie definizioni
Al di là dell’antropologia, se si pensa alla nostra vita, si può constatare che una certa forma di economia della condivisione sia sempre esistita e si pratichi ogni giorno.
I passaggi dati agli amici, le t-shirt in buono stato mollate a nostra cugina o la tradizione del caffè passato a Napoli. Ma anche biblioteche o videoteche stesse potrebbero essere considerate delle grandi economie di condivisione del sapere, inglobate in un solido sistema organizzato per cui garantito a tutti: in fondo si reggono su un sistema di condivisione regolamentata e controllata, ovvero il prestito.
Bisogna infatti ricordare che l’economia prima di esser fatta dalla finanza, dal mercato e dalla circolazione di denaro, si basa sulle persone e sui loro scambi, siano essi intermediati dal denaro o no.
Di conseguenza, sistematizzare e diminuire l’incertezza, sono due fattori chiave. Dal punto di vista sociale implica incanalare con mezzi specifici gli input ambientali per produrre precisi output gestibili dalla persona, distribuendoli in un ecosistema con preesistenti regole e strutture sociali. Per fare ciò occorre un’istituzione o degli strumenti creati ad hoc e sempre in continuo adattamento.
Per quanto riguarda le emergenti forme di economia, internet ha sistematizzato e reso meno incerta la forma di economia depurata da tutti gli elementi più complessi e mediati da terzi. Il web è stata l’infrastruttura vera e propria attraverso la quale le informazioni necessarie per dare via a nuove forme di economia –si spera più sostenibile –ha viaggiato sotto forma di bit e pixel.
Non a caso, i pochi punti su cui la letteratura va d’accordo nel definire sharing economy e correlati, è la possibilità di abbattere le barriere tra fruitore e fornitore di un servizio. Per fare un esempio pratico: chi mette a disposizione la sua casa su Couchsurf.com un domani potrà beneficiare della casa di un altro couchsurfer. L’user è a volte consumer ma anche promotore stesso (si pensi all’uso dei social media ed ai ratings) e viceversa.
Un altro raro punto su cui si concorda, è la gerarchia orizzontale, in contrapposizione, a volte provocatoriamente, ai servizi più classici estremamente burocratizzati e verticalizzati. Perché un’azienda dovrebbe acquistare un mini van e perdere tempo prezioso con il controllo di carte e documenti, solo per partecipare a delle fiere annuali? Non sarebbe molto più semplice noleggiarne uno e risolvere il tutto con un click? Perché comprare dei giocattoli ai miei bambini per poi lasciarli nel box dei ricordi tra due anni? Meglio andare alla banca del giocattolo e scegliere tra opzioni anche molto insolite e restituire il tutto a tempo debito. Per non parlare dei vantaggi derivanti dalle app che assorbono le funzioni di accounting.
Sebbene l’organizzazione delle più recenti start up sia snella nelle procedure, non gerarchizzata e abbia una struttura a “incubatore” (crescere idee e persone in un clima democratico), questa efficienza rimane confinata nel loro ambiente lavorativo. Fuori si incontra il buon vecchio avvocato Azzeccagarbugli dei Promessi Sposi, dove burocrazia, cavilli, leggi, passaggi di patate bollenti e cattiva comunicazione si ripercuotono magari sull’operato della start up stessa, impedendo al cittadino comune di arrivare dove vorrebbe. Con la SE questi ostacoli possono essere superati agilmente, per non parlare della possibilità di risparmio economico che molto spesso segue.
La gerarchia piatta e la possibilità di passare dal ruolo di produttore al ruolo di consumatore, è quanto tutta questa babilonia di termini condivide. Eppure non è poco, dal momento in cui il web ha reso il fenomeno così accessibile e sistematizzato da mutare DNA stesso della condivisione.
Una delle conseguenze più evidenti e positive (ed anche un aspetto su cui ogni testo scientifico concorda) è stata il rendere il consumatore non più passivo e/o inconsapevole, ma user, ovvero utilizzatore consapevole di un prodotto o servizio, capace non solo di operare scelte in accordo con la sua personalità/credenze/bisogni, ma anche di implementare, finanziare collaborare o sponsorizzare il servizio stesso. In poche parole, l’utilizzatore è potenzialmente sempre partecipe ed attivo.
Il lato oscuro della Sharing Economy
La sharing economy dopo la sua esplosione attraverso il WWW non può rimanere la stessa.
Un sistema di consumo alternativo è partito come un effetto collaterale soprattutto dalla crisi del 2008, mettendo in discussione le istituzioni già esistenti considerate “indubitabili”. Così come ha ridiscusso anche il nostro modo di consumare, produrre e considerarci entità indistruttibili che non avevano bisogno di una comunità o dell’aiuto di sconosciuti. Ironicamente la SE sta diventando un nuovo problema sociale in alcuni casi, creando disoccupazione, lavoro sottopagato quando non illegale, impossibilità di una regolamentazione precisa in una disciplina opaca ed emergente, mettendo a repentaglio la nostra privacy ogni giorno ed a volte la nostra sicurezza. Se si guardano gli esempi ormai mainstream di Uber ed Airbnb, sono delle nuove forme di capitalismo anche più spietato di quello vecchio stile, alla Paperon de Paperoni.
Anche se autori come la Botsman non catalogano questi fenomeni nella categoria, di fatto dal grande pubblico è considerato “sharing”, e per alcuni aspetti è anche pericolosamente simile, rendendo il confine tra sharing e not-sharing molto sfocato. Ciò, rende questi fenomeni difficili da legiferare e gestirli è diventato sempre più complesso, soprattutto quando si tratta di stabilire delle garanzie sulla tutela dei diritti o gestire le transazioni di denaro.
L’effetto di uberizzazione è ciò che si ha con molte piccole start-ups o iniziative di sharing quando vengono assorbite da grandi brands o cambiano modello di gestione, o, semplicemente, si allargano. Citando una vecchia intervista a Frank Zappa: “quando gli hippies hanno preso posto dei grandi manager della musica e si sono seduti alla scrivania e hanno fatto i soldi, hanno distrutto la musica”
Sembra che la sharing economy sia nata come una provocazione ma si stia trasformando in un dispetto: prima verso le istituzioni, poi verso alcune forme di consumo, ora, per via di una giustificatissima quanto dannosa rabbia verso il sistema, un po’ verso tutti, noi inclusi.
Bibliografia
‘Sharing Is Not a Form of Exchange’: An Analysis of Property-Sharing in Immediate Return Hunter-Gatherer Societies, in PROPERTY RELATIONS: RENEWING THE ANTHROPOLOGICAL TRADITION
Yochai Benklert (2004) Sharing Nicely: On Shareable Goods and the Emergence of Sharing as a Modality of Economic Production.
Botsman R. and Rogers R., (2010) What is mine is yours, Harper collins, UK
Belk, R. (2010). Sharing. The Journal of Consumer Research
Definizione di « salute » secondo l’OMS
In inglese ci sono 2 termini : health inequalities (Health inequality is the generic term used to designate differences, variations, and disparities in the health achievements of individuals and groups. A straightforward example of health inequality is higher incidence of disease X in group A as compared with group B of population P. If disease X is randomly or equally distributed among all groups of population P, then there is no presence of health inequality in that population.) and health iniquities (Unfair inequalities that in theory would be levered out)
Carta di Ottawa 1986 –Conferenza mondiale sulla promozione della salute –si stabilisce che le circostanze materiali non sono l’unico determinante + salute come esperienza cumulativa nella vita (Barker ho) + la gestazione influenza
PRODUZIONE SOCIALE DI UNA MALATTIA
* theoria ecosociale : ci sono 3 elementi che causano disuguaglianza : razza/etnia, classe e genere (triangolare : political economy and ecology) poi all’interno della stessa th, c’è un modello distale, più piramidale che coinvolge lo stato, fino alla famiglia per poi finire con l’individuo. Dahlgren and Whitehead (1991)
Paradagma dell’agency : è vero che noi possiamo scegliere, ma di fatto chi può davvero scegliere è l’ultimo decile, ovvero i più benestanti, educati e con un buono status (oltre che ricchi)
Guardare le scelte che vengono operate lontano dall’individuo che passano x le determinanti intermedie, per poi influenzare l’individuo.
Mix di situazioni socioeconomiche, malattia, contesto, dinamiche e fattori.
Coefficiente di Gini (misura delle disuguaglianze) e curva di Lorenz.
Global health : what is
Insieme di attori coinvolti nel global health
SICKNESS ILLNESS DISEASE