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Partiamo da un dato: la concentrazione attuale di CO2 in atmosfera è intorno alle 418 ppm (parti per milione). Quindi poca cosa? Per il pianeta Terra forse sì, come dicevamo nel corso della sua storia ha visto concentrazioni molto maggiori, ma per la vita umana non esattamente, se pensiamo che essa è uno dei principali gas serra, anche se non il solo.

La necessità di contenere il riscaldamento climatico, preservare lo strato di Ozono, e con essi gli ecosistemi e la nostra stessa salute, ci pone davanti al bisogno di rivedere l’attuale modo di produrre, spostarci, vivere nel quotidiano per abbassare in modo significativo questo valore.

Riguardo al controllo della concentrazione di Co2, si può agire in due modi: non emetterne (investire su attività, fonti energetiche, processi produttivi che non emettono anidride carbonica o lo fanno in modo molto minore), oppure provare ad assorbire questo gas dall’atmosfera. La transizione ecologica e la riduzione delle emissioni, anche domestiche, sono tra i temi più discussi al momento e c’è chi ritiene che siano entrambe strategie utili a risolvere il problema e chi reputa le strategie per favorire l’assorbimento di Co2 un palliativo o comunque un’azione a breve termine.

Senza alcuna intenzione di entrare nel merito di un dibattito complesso anche per gli esperti del settore energetico ed economico, né nel dettaglio del ciclo biogeochimico del carbonio, che, come tutti i cicli biogeochimici, è un insieme complesso di fenomeni e processi con cui un elemento passa attraverso atmosfera, biosfera, idrosfera e geosfera, vediamo però di elencare qualche elemento che entra in campo se si parla di assorbimento di Co2.

ECOSISTEMI TERRESTRI: VEGETAZIONE E SUOLO: Forse ciò a cui si pensa immediatamente è l’attività fotosintetica delle piante che ricoprono più o meno tutte le terre emerse, le quali si comportano in effetti da sink (serbatoio) di carbonio. È sulla base di questo principio che si stanno moltiplicando negli ultimi anni gli interventi di riforestazione, piantumazione di specie vegetali in grado di “inghiottire” più Co2 possibile. Una strada per molti percorribile, che però deve tener conto della compatibilità delle specie vegetali con la biodiversità dell’area di intervento.

Non bisogna poi dimenticare che il suolo stesso, “il più complesso biomateriale sul pianeta”, potrebbe dare un contributo significativo al sequestro di carbonio (ai più curiosi sull’argomento consiglio di dare un’occhiata alla voce “Agricoltura Conservativa”, alla pagina di “Re Soil Foundation” e al documentario “Kiss the Ground”).

ECOSISTEMI MARINI E OCEANICI: Gli oceani sono, anche più delle terre emerse, in grado di dare “carbon uptake” per diverse ragioni: innanzitutto hanno un’estensione molto maggiore, e in più sono la sede di numerosi processi fisici, chimici e biologici interessanti. Negli oceani avviene tantissima fotosintesi, i microrganismi del fitoplankton e le alghe sono una “foresta invisibile” che genera circa metà dell’ossigeno che respiriamo e fissa circa lo stesso quantitativo di carbonio delle piante terrestri perché ha una biomassa irrisoria ma un tempo di rigenerazione molto maggiore. Per intenderci, le piante terrestri impiegano 10 anni per riprodurre sé stesse, e il plankton marino 7 giorni!

La solubilità della CO2, quando è permessa dalle condizioni di salinità e di temperatura, innesca una serie di reazioni chimiche che portano prima alla formazione di acido carbonico e poi alla sua dissociazione in protoni e ioni bicarbonato (questo equilibrio chimico e l’aumento della Co2 sono alla base di acidificazione e diminuzione dei carbonati a disposizione degli organismi calcificanti); in seguito questa capacità è ripristinata grazie al rimescolamento e alle correnti e si pensa che questi fenomeni possano portare all’assorbimento del 30% della CO2 emessa sebbene in periodi di tempo lunghissimi. Quindi non certo una soluzione rapida, ma che ci aiuta a comprendere l’importanza di questi ecosistemi e della loro tutela.

CCS: “Carbon Capture and Storage”, cioè “cattura e sequestro del carbonio”. Qui parliamo di tecnologie e sistemi ancora in fase di studio o comunque poco usati nel settore industriale, che ancora sollevano molti dubbi. Ma il concetto alla base è che nei processi che ancora utilizzano combustibili fossili, la Co2 potrebbe essere separata, liquefatta e trasportata fino a un impianto di stoccaggio, da dove sarebbe poi iniettata in giacimenti di idrocarburi o compressa in formazioni rocciose. Per ora non se ne parla molto, ma qualche impianto è già in costruzione nel mondo e chissà che in futuro non possa diventare la norma.

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