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Spesso, chi non crede o non ha voglia di ascoltare le argomentazioni sul clima che cambia, le sue conseguenze e l’urgenza di prendere determinate misure per contenerlo, obietta che “il cambiamento climatico non è causato dall’uomo; variazioni anche profonde del clima della Terra sono sempre avvenute nella storia del Pianeta e quindi la preoccupazione al riguardo è del tutto infondata e la paura di una catastrofe è solo terrorismo psicologico”.

Mi piacerebbe partire dal fondo di verità che è in questa affermazione, per poi arrivare al perché, nonostante sarebbe molto rassicurante da pensare, non è assolutamente corretta.

Partiamo dal presupposto che il clima sul nostro pianeta non è davvero mai stato sempre lo stesso. Moltissimi fattori naturali, milioni di anni prima che l’uomo facesse la sua comparsa, ne hanno condizionato le caratteristiche era geologica dopo era geologica. Per citarne qualcuno, le variazioni dell’eccentricità dell’orbita terrestre, dell’obliquità dell’asse terrestre e la precessione dello stesso (che nell’insieme prendono il nome di cicli di Milancović), l’attività solare e quella vulcanica, la caduta di meteoriti. È a causa di questi eventi che abbiamo avuto, solo nell’ultima era quaternaria almeno sette periodi glaciali alternati a periodi interglaciali. Vuol dire che, ad esempio, le calotte polari si sono estese e ritirate più volte.

E non è nemmeno corretto affermare che le temperature che stiamo raggiungendo negli ultimi anni siano le più alte che la Terra abbia mai sentito o che la concentrazione di anidride carbonica non sia mai stata così elevata. Tutt’altro: se dovessimo osservare l’andamento delle temperature e della CO2 (in parti per milione, oggi siamo a circa 417) in centinaia di milioni di anni del pianeta quello che vedremmo è addirittura una generale diminuzione.

Come sappiamo tutto questo? La paleoclimatologia è quel ramo della climatologia che si occupa di ricostruire il clima sulla Terra in tempi molto (a volte moltissimo) antecedenti all’invenzione degli strumenti di misura con cui oggi misuriamo temperatura, livello dei mari, composizione chimica dell’aria eccetera, ma anche alle fonti storiche più antiche. E l’unico modo per saperne qualcosa è quello di saper leggere diversi archivi climatici. Le carote di ghiaccio che si estraggono in Antartide, i sedimenti marini e lacustri, i pollini, i fossili di insetti, piante e protozoi vissuti ere fa, i depositi minerali nelle grotte sono tutti “indizi” preziosissimi per i climatologi.

Studiare il clima del passato non è solo interessante, ma utile per capire quali furono i meccanismi innescati da alcune variazioni climatiche importanti e le risposte dell’intero ecosistema. Per esempio, i paleoclimatologi sono particolarmente interessati ad un evento avvenuto circa 55 milioni di anni fa, durante il passaggio tra Paleocene ed Eocene (all’inizio del Quaternario) in cui l’aumento di Co2 e della temperatura media globale ricordano molto quelli in corso oggi.

Ma c’è una piccola, cruciale differenza. Durante il PETM (Paleocene-Eocene Thermal Maximum) la temperatura subì un innalzamento di circa 6 gradi, ma in un periodo di tempo di circa 20 000 anni!! Oggi l’aumento delle temperature e della Co2 atmosferica è vertiginoso: procede a velocità troppo elevate perché il nostro pianeta possa mettere in atto sistemi per mitigarlo o perché la biosfera (e quindi, noi) abbia il tempo di adattarsi ai cambiamenti senza andare incontro ad una molto probabile estinzione di massa. In particolar modo se queste emissioni non saranno drasticamente ridotte (più che dimezzate) per la fine del decennio.

In altre parole, quello che la natura in passato ha fatto a passo lento, l’uomo lo sta facendo in una corsa sfrenata. E non c’è dubbio che alla base di questo ritmo incalzante nel cambiamento climatico ci siano le emissioni umane perché questo è l’unico fattore a cui è imputabile una velocità senza precedenti nel passato geologico.

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