di Veronica Salvia Cruciani

Credits: Bethany Augliere for Oceana.org

Anche gli animali si ammalano delle nostre stesse malattie, e spesso ne condividono le cause scatenanti, spesso collegate ad una maggiore attività antropogenica. Dall’inquinamento da PCB all’innalzamento della temperatura dei mari, i prodotti diretti dell’agire umano sono tra i più vari. Per le conseguenze indirette invece ci si può sbizzarrire: dallo sbiancamento dei coralli ai tumori. E di questi ultimi ci occuperemo oggi.

Nonostante alcune sostanze siano state proibite proprio per i loro conclamanti ed incontrovertibili effetti disastrosi sulla salute umana ed animale, esse continuano a circolare indisturbate. E’ il caso dei PCB, che sono stati dichiarati illegali nel 1983 ma si formano quotidianamente, come risultato della depurazione di acque di scarico, combustione, e pratiche illecite di smaltimento. Insomma: sono usciti dalla porta per rientrare silenziosamente dalla finestra (della soffitta, per far ancor meno rumore).

I PCB sono Policlorobifenili, ovvero una miscela di diverse sostanze (isomeri per l’esattezza), che hanno il prezioso vantaggio di essere chimicamente stabili, ovvero difficili da trasformare. Per questa ragione si sono dimostrati ottimi isolanti e conduttori termici. Peccato che proprio la loro stabilità è ciò che li rende persistenti in natura, per cui non si degradano né si sciolgono in acqua, restando a lungo nel suolo e nelle acque, specie quelle del sottosuolo. Questo significa che saranno parte integrante del mondo vegetale in quanto si trovano in quel sostrato da cui piante e semi traggono il loro nutrimento.

Nei grassi invece, i PCB si sciolgono (sono liposolubili), depositandosi nei tessuti adiposi degli esseri viventi. Il grasso è una parte fondamentale del nostro corpo (al di là della demonizzazione che se ne fa nei media): circonda e dà energia ai nostri organi vitali, come il cuore e protegge la cute ed addirittura il cervello, sotto forma di mielina.

Per la proprietà transitiva, i PCB andranno a far parte di chi si nutre di vegetali contaminati impilandosi man mano nell’adipe –o grasso –senza venir smaltiti. Questo fenomeno si chiama bioaccumulo. Se gli erbivori immagazzinano i PCB cibandosi di piante, i carnivori, si nutrono a loro volta di questi animali che hanno già accumulato una discreta scorta di PCB senza poterla trasformare in sostanze di scarto. L’accumulo intraspecie di sostanze che non si degradano né dissolvono si chiama biomagnificazione. Pensatela come delle scatole cinesi o una serie di quadrati di due.

Esempio di scarico illegale

Come l’accumulo di PCB agisce nell’uomo, agisce negli animali. Ci si vuole focalizzare sulle cosiddette keystone species, ovvero le specie che hanno un ruolo fondamentale nell’equilibrio del pianeta in quanto una piccolissima quantità di esemplari può influenzare l’ambiente circostante in maniera spropositata rispetto al loro numero. Senza di esse, l’ecosistema avrebbe serie difficoltà a riadattarsi alla loro assenza in poco tempo. Una di queste è la tartaruga marina comune, un carapace dal buffo nome scientifico: Caretta caretta.

C’è un gruppo di ricerca composto da biologi, ingegneri, umanisti e virologi in California, nella University of Florida, guidato da Ilaria Capua (Johns Hopkins University), che ha deciso di occuparsi delle tartarughe marine dal punto di vista dell’ Epidemiologia marina. Questa disciplina emergente studia il benessere dei mari che passa attraverso la salute di chi li abita. Per la proprietà transitiva e con un po’ di buon senso, si capisce che la nostra salute dipende da quanto “in salute” è l’ambiente in cui viviamo. Questo concetto può essere riassunto dal neologismo One-health. Io ho avuto il piacere di dibattere su questioni legate alla condizione degli oceani e dei suoi abitanti con la dottoressa Capua e d’intervistare la sua dottoranda, Costanza Manes, in seguito al workshop  “One-health” tenutosi a Bertinoro.

Con l’avviarsi dell’antropocene, i cambiamenti nella biosfera non sono solo prevalenti, ma pervasivi. Per questo –spiega la Dottoressa Capua – c’è l’urgenza di spostare l’attenzione dai fattori biologici (valori del sangue, ritmo cardiaco, malattie etc), ai fattori ambientali come la presenza di alghe/piante, temperatura acqua/aria etc, attingendo da discipline più trasversali e olistiche come l’ecologia, anziché la biologia.  

La dottoranda Manes in seguito mi spiega come la moria delle Caretta caretta (tartaruga marina comune), in quanto specie keystone, può generare un cosiddetto feedback loop, ovvero una serie di cambiamenti concatenati tra loro e con un’incisività sull’ambiente circonstante difficile da stimare nella sua totalità. Più che un effetto domino si tratta di un’espansione a macchia d’olio, dove la prima goccia è l’essere umano. Per fare un esempio concreto, questa tartaruga, comportandosi come una pecora del mare, si nutre di un’alga chiamata Thalasseaa testudinus: “brucando”, mantiene la salute di queste alghe che intrappolano CO2 e rilasciano ossigeno. Senza considerare che questa “sea grass” è rifugio di micro organismi e piccoli animali marini, basti pensare che l’oceano è il più grande produttore di ossigeno esistente (no, non sono le foreste) ed un inestimabile scrigno di biodiversità. La conseguenza va da sé.

Il suo gruppo di ricerca parte da una semplice osservazione: il livello di fosfati e/o PCB nel sangue è più alto nelle tartarughe con un tumore che contiene un particolare herpes, il cui DNA è codificato come ChHV5. Questo herpes si attiva solo con determinati elementi scatenanti (temperatura, salinità delle acque, sostanze tossiche…) ed oggi sembra che non rimanga tanto “silenziato” quanto in passato. Come sempre per esser certi delle risposte che si forniscono –lavoro che ogni persona nella ricerca dovrebbe fare –bisogna partire dai dati raccolti. Per capire l’eventuale esistenza di correlazioni tra la contaminazione da PCB e lo stato tumorale, i ricercatori hanno misurato la concentrazione di PCB in tartarughe femmine ad un diverso stadio d’avanzamento del tumore, classificate tra “nessun tumore”, “tumore moderato” o “tumore grave”. Le tartarughe gravemente afflitte hanno mostrato le più alte concentrazioni di PCB nel plasma del sangue, seguite da quelle con un tumore moderato.

In generale, come osservato dal gruppo di ricerca del South China Agricultural University e del Dipartimento di Bioscienze Molecolari e Bioingegneria della University of Hawaii, la contaminazione da PCB è stata rilevata nelle tartarughe sia di mare che di acqua dolce, con diversi gradi di concentrazione sempre correlati al livello d’inquinamento del bacino idrico in questione e quindi dell’industrializzazione delle zone circostanti (Yan et al., 2018). La concentrazione di PCB nelle tartarughe verdi delle Hawaii (Chelonia mydas) era molto più bassa rispetto a quella delle Caretta caretta delle Canarie e delle tartarughe della Guyana francese, ma più alta di quella delle tartarughe marine testa di castoro di Capo Verde. Difatti, se si guarda il livello di urbanizzazione e l’afflusso di turisti in questi Paesi, si potrà notare che Capo Verde è la zona meno industrializzata e turistica delle quattro, mentre rispetto a Capo Verde, le Hawaii sono una regione prospera con industrie e turismo altamente sviluppati seppur inferiori a quelli delle Canarie, la zona più urbanizzata e turistica di tutte. Non a caso, alle Canarie le tartarughe sono più a rischio. Di certo anche le correnti marine hanno un’influenza, in quanto determinano dove verranno trasportati gli scarti tossici delle industrie (Yan et al., 2018).

Altra osservazione interessante –ed ulteriore supporto al fatto che i tumori dipendano anche dalla concentrazione di sostanze antropiche: i PCB hanno una minore concentrazione nelle tartarughe verdi (Chelonia mydas) femmine e la quantità di PCB nelle uova deposte più tardi è minore rispetto a quella nelle uova deposte nei primi cicli di deposizione della nostra tartaruga. Per semplificare. Se una tartaruga depone le uova dal 2003 al 2013, le uova del 2013 conterranno meno PCB. Nelle specie ovipare, infatti, le femmine spesso trasferiscono parte del contaminante alle uova, in quanto le sostanze vitali per l’animale, tendono ad accumularsi nei grassi e ad essere più presenti nelle tartarughe più giovani. E gli individui più giovani sono quelli che si ammalano più spesso. Questo fenomeno si chiama trasferimento materno. Inoltre, la minore concentrazione di PCB nelle femmine può essere causata dalla riduzione dell’assunzione di cibo dato che durante la nidificazione, le femmine necessitano di una grande quantità di energia per deporre numerose uova, mostrando un’evidente perdita di peso. A ciò si aggiunga che con l’età le tartarughe marine tendono ad abbandonare una dieta basata su piccoli pesci e seppie a favore di una dieta vegetariana, diminuendo il fenomeno della biomagnificazione: come si è detto, il PCB è più presente nelle tartarughe giovani, quindi carnivore.

I fenomeni del bioaccumulo, della biomagnificazione e del trasferimento materno sono alla base della diffusione delle sostanze nocive tra tartarughe marine, nonché gli indizi che hanno sono stati portati come evidenze dai ricercatori dell’influenza della contaminazione delle acque sulla vita delle tartarughe. Spiegare come si diffonde il tumore tuttavia non è sufficiente: occorre capire come esso agisce e da cosa si origina.

Questa malattia è un cancro della pelle delle tartarughe marine e non risparmia nessuna specie, in particolare la tartaruga verde –Chelonia mydas –. Il primo caso fu portato all’attenzione della comunità scientifica del settore nel 1928, in Florida, ma ad oggi questo tipo di tumore ha una prevalenza del 70% negli esemplari osservati*. I tumori si vanno a concentrare nella zona ascellare o negli occhi, per cui le tartarughe, quando sopravvivono alla malattia, diventano cieche (nel caso colpisca gli occhi) o sono rallentate nel nuoto (nel caso della zona ascellare), rappresentando in entrambi i casi una facile preda. L’aggravante è data dalla giovane età delle tartarughe colpite le quali, se non superano la loro adolescenza, non raggiungeranno l’età fertile, le popolazioni diminuiranno drasticamente.

ChHV5: è il già citato DNA dell’herpes che agisce come un fattore scatenante il tumore dove è stato trovato l’herpes stesso. Il punto interessante per noi è che questo DNA non è MAI mutato, per cui in passato non è stato capace di generare tumori sul 50 – 75% degli individui campionati, ma ora sì. In Florida è stata osservata una prevalenza di tumori del 50% nelle aggregazioni di tartarughe verdi nella regione di Indian River. Tuttavia, nella barriera corallina poco distante da questa regione, il tumore non è stata osservata affatto, probabilmente, afferma la dottoranda Manes, a causa dell’ottimo stato di preservazione ed alla temperatura regolare di queste acque.

A Pala’au, (nella regione di Molokai, Hawaii) nessun tumore è stato rilevato fino al 1985, finché dieci anni più tardi, si è arrivati ad una prevalenza del 60,7%, come riportato dai ricercatori del Prof. Geoff Jones della James Cook University. Ad oggi nelle Hawaii i tumori rilevati nelle specie campionate* si aggirano intorno al 75%, seppur con un basso livello di mortalità (per fortuna). Ciò significa che ci devono essere influenze esterne, ovvero un’azione di stress ossidativo che scatena immunosoppressione, quindi il tumore (Harvell et al., 2004). Con un meticoloso quanto difficile lavoro di data mining, data cleaning ed elaborazione di algoritmi, gli ingegneri del gruppo di ricerca di Costanza Manes hanno estratto dati sulla temperatura delle acque di oceani e fiumi dagli anni ‘80 ad oggi, confermando che la temperatura è aumentata in modo significativo, in particolare nelle aree più industrializzate. Come già detto, queste zone sono quelle con una maggire presenza di tartarughe contaminate dai PCB e con tumori. Comparando le varie epidemie di patogeni virali tra specie marine nei Caraibi come i ricci di mare e le foche –nel caso della morte di massa causata dal morbillivirus -si è visto che i trigger possono essere l’alta temperatura, gli sbalzi termici, l’inquinamento delle acque, i cambiamenti di salinità e la scarsità di correnti marine che quindi genera acqua stagnante (Harvell et al., 2004).

La malattia è osservata più frequentemente in individui giovani, in minor misura quasi-adulti ed infine qualche adulto, collocati nella fascia tropicale e subtropicale, senza differenze significative tra maschi e femmine. Questa apparente differenziazione dell’età d’insorgenza del tumore in base alle località potrebbe indicare che i giovani colpiti scompaiono dalla popolazione o si riprendono con un’immunità acquisita che li protegge da adulti (Van Houtan et al., 2010). Questo dato vagamente positivo non può indurci ad adottare una filosofia ciecamente darwiniana che a livello di senso comune si può tradurre con la classica banalità “Le cose si sistemeranno. Le tartarughe impareranno ad adattarsi”. Il peggior errore che si possa commettere è distogliere l’attenzione dai responsabili di questo fenomeno d’inquinamento da PCB, scaricando un cocktail di responsabilità ed agenti inquinanti sulle tartarughe e su tutti gli altri esseri (umani inclusi). Non sono loro i responsabili. I sistemi di produzione industriale, le pratiche illegali di smaltimento, la scarsa cura dell’ambiente costiero ed indirettamente il consumismo tanto selvaggio quanto irresponsabile sono e saranno sempre i fenomeni da tenere d’occhio nonché l’ambito nel quale chiedere (a noi stessi ed agli attori politici) che qualcosa venga cambiato giorno per giorno.

Ci dovremmo approcciare alla natura con lo stesso senso di sacralità col quale non profaneremmo un tempio od un luogo di culto, specie se è un culto che non conosciamo.

BIBLIOGRAFIA

Harvell D, Aronson R, Baron N, Connell J and others (2004) The rising tide of ocean diseases: unsolved problems and research priorities. Front Ecol Environ 2: 375−382

Jones, K., Ariel, E., Burgess, G., & Read, M. (2016). A review of fibropapillomatosis in green turtles (Chelonia mydas). The Veterinary Journal, 212, 48-57.

Van Houtan, K.S., Hargrove, S.K., Balazs, G.H., 2010. Land use, macroalgae, and a tumor-forming disease in marine turtles. PLoS ONE 5, e12900.

Yan, M., Nie, H., Wang, W., Huang, Y., Li, Q. X., & Wang, J. (2018). The risk of polychlorinated biphenyls facilitating tumors in Hawaiian green sea turtles (Chelonia mydas). International Journal of Environmental Research and Public Health, 15(6), 124

*si noti che “individui osservati” “catturati” o “campionati” non equivale alla totalità degli individui, specie se si sta parlando di specie animali: attenzione a non confondere i due concetti!

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